Ernesto Tatafiore e Lucio Amelio sulla natura dell’arte, 1971

diariodidaria #0

1 aprile 2025

Che rappresenta? Cosa significa? 

L’artista non rappresenta una realtà esistente, lo scopo non è quello di ricreare ciò che si è perduto. Lo scopo primario è quello di creare ciò che non è mai esistito.  

Un quadro non rappresenta. Un quadro è una nuova realtà. Ma da questa constatazione nasce subito la seconda domanda: che significa? Il significato di un’opera d’arte è spesso misterioso e apparente[mente] incomprensibile o assurdo. E questo somiglia a certe immagini che produciamo nel sogno. Freud ci ha insegnato che il sogno è sempre il soddisfacimento di un desiderio non realizzato nella realtà.

Leggendo le parole di Amelio e Tatafiore mi guardo intorno. Non so chi è a scrivere. Se è Amelio, se è Tatafiore, se uno detta e l’altro scrive. So solo che è il primo ritaglio che è uscito semplicemente grattando la polvere in superficie dell’enorme scatola dei ricordi di Lucio Amelio che con Kaos48 ci si appresta a pubblicare. 

 Lo scopo primario è quello di creare ciò che non è mai esistito.   

Mi guardo ancora intorno. Come diavolo si fa a creare qualcosa che non è mai esistito? Come inventi un nuovo colore? Ci ho messo qualche anno di fatica che volentieri vi risparmio, ma poi quello che intendeva Amelio l’ho capito guardando il tempo che passa, in un modo in cui solo la vita nella Napoli di Lucio [così mi do il permesso di chiamarlo quando lo vedo come il mio vecchio saggio nonno che favoleggiava prima delle nanne serali] ti può insegnare:  esistendo e basta. Senza l’ossessione di performare. Essendo.

Ma come lo osservo il tempo che passa? 

Lo devi letteralmente guardare, forse su una retta, in  quel grafico cartesiano che all’epoca del liceo tanto odiavo. Personalmente invece, con me funziona vederlo scorrere. Fluire leggero, come un conto alla rovescia. Un countdown. Se lo osservi bene lo senti anche suonare. tictactictac. tic tac. tic. tac.  

Il tempo che scorre l’ho visto la prima volta in quel punto imprecisato della notte che ogni tanto [o ogni poco ma questo dipende da voi] si manifesta dove sono solo una mente dissociata da un corpo che ormai più mi appartiene, dopo una cena da povera e una sigaretta saporitissima mentre sceglievo cosa mettere nel carrello di un sito che non nominerò perché ho una reputazione da anarchica da mantenere. 

tictac 

C’è di fianco al mio carrello un countdown dello sconto totalmente esagerato che mi hanno magicamente regalato all’iscrizione al sito.

tictac tictac

C’è un badge colorato gigante cubitale imponente luminoso sembra una di quelle creature ipocrite e sgargianti del sottobosco animale che si svela velenosa attraverso il gioco dei colori.

Il countdown continua frettoloso e dice: 1 01 04 28

Prima che scada il mio sconto: 1 01 04 27

Prima che mi passi la voglia di fare questo ordine: 1 01 04 26

tic tac

E continuando ad aggiungere doppioni di desideri già esauditi nel carrello osservo i numeri e leggo

1 01 04 25 

quindi

25 secondi 

Poi 4 ore

Poi 1 giorno

Poi 1 anno 

Mi interrogo su come funzioni il mio cervello nel decodificare questo countdown infermabile. Questa simbolizzazione del tempo che scorre. Questo etichettamento del fluire delle cose. La mia quasi sigaretta è finita. 

Dopo i minuti le ore poi i giorni poi gli anni poi i lustri poi i decenni poi i secoli poi i millenni poi poi i miliardi di anni poi poi gli eoni poi poi poi cosa? Leggendo il tempo che scorre ogni scatto del badge corrisponde ad una somma di unità di misura del tempo. A partire dai secondi. Andando avanti con ogni grandezza successiva che riconosco nel leggere la sequenza di numeri. 

Un quadro è una nuova realtà 

Subito viene da pensare chissà quanto puoi andare indietro con le unità di misura. [Ma si chiamano unità di misura? Boh. Capiamoci.] Ogni tot per non ripetere i numeri che utilizziamo per contare i secondi che scorrono all’infinito diamo un nome a una porzione di questa grandezza universalmente riconosciuta come tempo. In questo modo umano di comprendere il tutto che è schematizzare, ordinare, collocare, etichettare.  Che è, poi, un modo per dominare l’infinito. 

Il quale, comunque, non cessa di esistere.

Nominandolo, etichettandolo, schematizzandolo, lui / l’infinito / si ferma semplicemente nel tempo. Un punto sulla retta t. Che esiste, sì, ma in quanto componente della retta t. Fermo nel qui ed ora del mio gesto di misurazione. Il tempo di certo non cessa di esistere all’infinito  anche se cerco di dare un nome a una parte di esso. Sfuggirà sempre un pezzo. Quello che non nomino. Che non misuro. Perché è talmente in là che è impossibile che qualcuno abbia mai pensato anche solo di arrivare a nominare quel numero. 

Svolazzando col pensiero ancora un po’ più in su mi interrogo mi arrovello mi chiedo se [qui leggiamo lentamente separiamo i concetti dividiamo ogni passaggio e spremiamo le meningi]:

Posta la natura infinita dei numeri 

sia forse addirittura matematicamente impossibile che si siano riusciti [durante tutta l’esistenza umana fino ad ora] 

  a nominare ad alta voce tutti quelli esistenti!! 

Perché se ci penso con la mia logica [di cui poco possiamo fidarci essendo io completamente estranea a quell’erotico privilegio che deve essere il ricevere una sufficienza in matematica al liceo]: la manifestazione completa di un evento che abbia durata infinita in un contesto di durata finita, non è assolutamente possibile. 

Dunque se il ragionamento è giusto c’è sempre qualcosa che sfuggirà dall’essere ingabbiato. Non perché di fatto scappi, ma a causa della sua natura.  Ed è la parte del grafico che non disegno. Che va oltre il pezzo a cui dai forma. La retta che prosegue dopo i tre puntini che mi scordavo sempre di mettere nel compito e poi prendevo 4. Che esiste, ma te ne accorgi solo nel momento in cui la pensi. Le dai forma, oppure nome. 

Freud ci ha insegnato che il sogno è sempre il soddisfacimento di un desiderio non realizzato nella realtà.

Sarà chiaro che mi interrogo sulla natura del tempo per cercare di dare una logica alla natura dell’arte di cui Amelio e Tatafiore parlano. E un appunto a questi due ora lo faccio dicendo che l’entità non la chiamerei arte ma avanguardia, la quale per natura è non contemplativa, senza nome né protagonisti, nella fase prima di dare forma, prima di nominare, prima di disegnare. Relegata solamente nello spazio d’immaginazione del prima di creare. 

Daria TDA

Documento privato. Estratto dal frontespizio di Marion Milner, Disegno e creatività, La Nuova Italia Editrice. 

Sul fronte due iscrizioni:

1 – In alto a destra firma e anno

 ‘tatafiore ‘71’

2- In basso una dedica

‘caro lucio

creo [altrim. ‘ciao’]

totototò – tatatatà

ps: non studiare troppo!’ 

Sul retro un testo: 

Che rappresenta? Cosa significa? L’artista non rappresenta una realtà esistente, lo scopo non è quello di ricreare ciò che si è perduto. Lo scopo primario è quello di creare ciò che non è mai esistito.  Un quadro non rappresenta. Un quadro è una nuova realtà. Ma da questa constatazione nasce subito la seconda domanda: che significa? Il significato di un’opera d’arte è spesso misterioso e apparente[mente] incomprensibile o assurdo. E questo somiglia a certe immagini che produciamo nel sogno. Freud ci ha insegnato che il sogno è sempre il soddisfacimento di un desiderio non realizzato nella realtà’.

Courtesy collezione privata della famiglia Amelio.  

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